Incipit di “Afrodita”, di Isabel Allende I cinquant’anni sono come L’ultima ora del pome…

I cinquant’anni sono come
L’ultima ora del pomeriggio,
quando il sole tramontato
ci dispone spontaneamente alla riflessione.
Nel mio caso, tuttavia,
il crepuscolo mi induce al peccato.
Forse per questo,
arrivata alla cinquantina,
medito sul mio rapporto
con il cibo e l’erotismo,
le debolezze della carne,
che più mi tentano,
anche se, a ben guardare, non sono quelle
che più ho praticato.

Mi pento delle diete, dei piatti prelibati rifiutati per vanità, come mi rammarico di tutte le occasioni di fare l’amore che ho lasciato correre per occuparmi di lavoro in sospeso o per virtù puritana. Passeggiando per i giardini della memoria, scopro che i miei ricordi sono associati ai sensi. Mia zia Teresa, quella che si trasformò lentamente in angelo e che quando morì aveva germogli di ali sulle spalle, è legata per sempre all’odore delle pastiglie alla violetta. Quando quell’incantevole signora faceva capolino per una visita, con il vestito grigio illuminato con discrezione da un colletto di pizzo e il capo regale incorniciato dalla neve, noi bambini le correvamo incontro e lei apriva con gesti rituali la sua vecchia borsetta, sempre la stessa, estraeva una scatoletta di latta dipinta e ci dava una caramella color malva.

Incipit

Afrodita

0 0 voti
Article Rating
Iscriviti
Avvertimi
guest
0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments