Incipit di “Incontri ravvicinati del terzo tipo”, di Steven Spielberg Sette distorte figure stavano arrivando dal des…

Sette distorte figure stavano arrivando dal deserto, ogni tanto confondendosi coi cespugli di saggina, ma­scherate dalla sabbia scura che la tempesta di vento sollevava a quintali. I tre federales, madidi nelle loro uniformi, erano in attesa ai bordi del villaggio di Sonoyita, nel Messico settentrionale. Gli asinelli legati lì accanto scalpitavano, resi isterici dall’arsura e dalla sensazione che stesse giungendo gente sconosciuta. Le sette figure erano ormai vicinissime, quasi alle prime casupole del lugubre, deserto villaggio. Il sole divam­pava alto a mezzogiorno, però rosso come il sangue, o come la scritta Coca Cola che sovrastava l’entrata a un’osteria lì accanto. Il primo a emergere dal turbinio sabbioso fu un uomo alto sul metro e ottanta, che sa­lutò i tre gendarmi messicani con un rapido cenno del capo e con una salve di domande in uno spagnolo sco­lastico. «Siamo i primi ad arrivare?» Gli occhiali alla Rommel che portava e il fazzoletto che gli proteggeva il volto non consentivano di capire quale fosse la sua nazionalità. «Siamo i primi?» ripeté.

Incipit

Incontri ravvicinati del terzo tipo

0 0 voti
Article Rating
Iscriviti
Avvertimi
guest
0 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments