Alla signorina Maria di Montheau.
Nel centro di via San Dionigi, quasi all’angolo della via del Piccolo Leone, c’era, or non è molto, una di quelle case preziose che, per analogia, facilitano agli storici la ricostruzione della vecchia Parigi. Le mura crollanti di quella bicocca apparivano ancora screziate di geroglifici. Quale altro nome poteva dare l’ozioso agli X e ai V tracciati sulla facciata dai travicelli trasversali o diagonali segnati sull’intonaco da piccole screpolature parallele? Evidentemente al passaggio della carrozza più leggera ognuna di quelle travi si muoveva negli incastri. Il venerando edificio era sormontato da un tetto triangolare, il cui modello va scomparendo a Parigi. Cedendo alle intemperie del clima della capitale, esso si sporgeva di circa tre piedi sulla strada, sia per proteggere dalle acque piovane la soglia del portone, sia per ospitare un solaio con la sua finestruola senza parapetto. Quest’ultimo piano era stato innalzato con assi inchiodate l’una sull’altra, come lastre d’ardesia, allo scopo certamente di non sovraccaricare la fragile casa.
Incipit
All’insegna del gatto che gioca alla palla