Non capisco la differenza tra un programma culturale e uno di intrattenimento laddove conservi interviste, argomenti, citazioni, materiali e opinioni che tracimano in una forma di cultura.
Dove esistono cda, lobby e via dicendo tutti vanno e vengono: sembra un Grand Hotel. È più difficile instaurare rapporti in un'azienda che sembra un ministero.
Tra me e Pier Silvio Berlusconi c'è proprio amicizia. È un rapporto che va oltre il fatto che lui è il grande capo. C'è simpatia reciproca da almeno 10-15 anni, quando lui veniva chiamato Dudi e io Pierino la peste.
In Mediaset serviva un outsider. Io lo sono. Ma se c'è il vantaggio di portare novità, c'è anche il rischio di non sapersi inserire. Io ho avuto la fortuna e la capacità di farlo.
Sono un uomo-bandiera. Quando ero in Rai mi sentivo parte integrante del canone, a La7 di un telefono. Ora mi sento parte di Mediaset. Ma credo sia perché è un'impresa a conduzione familiare.
Sulle navi ho avuto le mie esperienze di amatore, per così dire, professionale. Se il fisico non mi ha mai concesso grandi possibilità, le crociere mi hanno dimostrato che anch'io esisto.
Non nego che il passaggio a Mediaset sia stato complesso anche perché per me implicava un cambiamento epocale. Ma già vedendo Pier Silvio al Circolo Arci ho cominciato a pensare di essere arrivato al momento giusto.
Ho avuto lo stesso infortunio di Totti. Lui ci metterà due mesi a guarire. Io ce ne misi otto. È questione di muscoli, di tonicità. Se ci slogassimo la lingua, io guarirei in due giorni, lui in due mesi.
Ho realizzato che puoi essere a Raidue e non renderti conto che stai lavorando per la Lega, lavorare a Sky che è di un uomo di destra e via dicendo. Senza contare che esiste una commistione tra editori.
Che ci siano delle alleanze teoriche tra imprenditori ed editori, tra partito politico e artista è insindacabile. Io lavoro per me stesso, ho la mia scala di valori. E sono ben lieto di lavorare a Mediaset.