Allo stadio non vado da molto:la tribuna d'onore è ormai una vetrina di urlatori. Ho sentito insulti ferocissimi. Alla fine di Italia '90 hanno fischiato l'inno argentino e mi sono vergognato. Durante la partita fischiate pure ma l'inno nazionale è sacro.
Da ragazzo, quando studiavo a Gorizia dai Salesiani, ero terrorizzato dall'idea del peccato e dall'idea della morte. Oggi non ho più paura di nulla, davvero. Un bel passo avanti.
Il giorno che decisi che avrei fatto il calciatore, non sapevo dove sarei arrivato. Sapevo che i miei preferivano fare di me un medico, un farmacista o almeno vedermi lavorare in banca. Io avevo capito che il calcio può dare grandissime gioie alla gente.
La prima volta chestette in ritiro con me, a Lisbona con l'under 23, dissi che un ragazzo così era un angelo piovuto dal cielo. Non mi ero sbagliato. Ma lo hanno rivoluto indietro troppo presto.