Credo davvero sia giunto il tempo di percepire la nuova centralità della cultura naturalistica. Una centralità necessaria per conoscerci meglio e, di conseguenza, per calibrare più positivamente il nostro rapporto con la natura, con i nostri simili, con noi stessi.
Agli scienziati piace sempre moltissimo inventare nuove teorie, nuove spiegazioni e, soprattutto, nuovi nomi possibilmente astrusi. E' così, oltretutto (ma questa senza dubbio è una malignità), che si raggiunge la gloria. Se non altro una bella visibilità.
Generalizzando, il comportamento è sempre il risultato dell'interazione tra genetica e ambiente. In definitiva, è sempre, per usare un termine proprio della biologia, fenotipo, anche se l'apporto dell'informazione genetica può essere assai variabile sia qualitativamente sia quantitativamente.
A determinare la comparsa, lo sviluppo e il permanere dell'umana capacità di credere è stato un peculiare assommarsi di caratteristiche mentali e sociali.
Gli scienziati dovrebbero avere il culto della ragione; eppure, di norma trincerandosi dietro l'abusata argomentazione delle aree di competenza, trovano anche loro uno spazio per credere.
L'uomo è, tra gli animali, il più razionale. Eppure anche in quest'epoca dominata dalla scienza, o almeno dove la scienza ha prodotto straordinari avanzamenti conoscitivi, l'uomo continua a credere in una varietà di fenomeni, esseri o entità di non provata esistenza.