È lo stordimento attorno al falso concetto di autonomia ciò che incrina la cultura odierna, quella secondo cui la persona si pensa tanto più felice quanto si sente prossima a fare ciò che vuole.
Anziché una somma di tanti "io", sicuramente legittimi e forse un po' pretenziosi, occorre insediare il plurale che abita in ogni famiglia, il plurale di cui si compone ogni società.
L'unità del Paese resta una conquista e un ancoraggio irrinunciabili. Ogni auspicabile riforma condivisa a partire da quella federalista, per essere un approdo giovevole, dovrà storicizzare il vincolo unitario e coerentemente farlo evolvere per il meglio di tutti.
Quando in una società si mantiene la gioia diffusa dell'aiutarsi senza calcoli utilitaristici, allora lo Stato percepisce se stesso in modo non mercantile.
Il lavoro è parte speciale di quelle condizioni indispensabili che una società veramente umana deve garantire perché ognuno possa non solo sopravvivere e vivere ma ancora di più realizzare se stesso secondo il disegno di Dio.
Parlare di identità culturale non significa ripiegarsi o rinchiudersi, ma si tratta di non sfigurare il proprio volto: senza volto infatti non ci si incontra.