Orietta Berti ha ottenuto la restituzione di vent’anni di versamenti Irap, realizzando il sogno di tutti gli italiani che considerano l’imposta regionale sulle attività produttive il loro incubo portatile. È riuscita a dimostrare che intorno a lei non lavorava una piccola azienda, ma soltanto dei collaboratori occasionali. La Berti non sarà un’impresa, ma di sicuro ne ha realizzata una. Dietro quell’aria pacioccona e stranita da sorella ideale di Forrest Gump si nasconde un donnino pragmatico e tignoso, capace di ingaggiare e vincere un combattimento di sumo contro il mostro multiforme del Fisco italiano, che l’ha battuta in primo grado e ribattuta in appello, ma ha finito per soccombere davanti alla maestà della Cassazione.
In un’epoca di arrabbiati e lamentosi cronici, questa maestra del tortellino zen, produttrice instancabile di storie a lieto fine, è la prova vivente che un approccio sereno e concreto ai problemi costituisce ancora il modo migliore di risolverli. Alla donna che non è un’impresa verrebbe da affidare qualsiasi impresa. Orietta Berti che mette d’accordo Madrid e la Catalogna. Orietta Berti che trasforma Kim in un pacifista, Trump in un ambientalista, la Merkel in una spendacciona e Macron in una persona sincera. Orietta Berti che convince Facebook e le sue sorelle a pagare le tasse. Orietta Berti che fa approvare la nuova legge elettorale, l’OriettaBertellum. Orietta Berti che pulisce le strade di Roma e dà pure la cera… Ecco, forse questa sarebbe un’impresa impossibile persino per lei.
Cit.
Il caffè di Gramellini, Fin che la tassa va, Corriere.it, 22 settembre 2017