Guardo i ragazzi sciamare per strada dopo il tema di maturità e avverto l’imbarazzo di essere stato, rispetto a loro, un privilegiato. Ricordo le emozioni di allora, lo stato di panico che si sarebbe ripresentato negli incubi adulti, quando mi sarei rivisto davanti alla commissione d’esame e a un foglio bianco, senza sapere ancora quale vita ci avrei messo dentro. In realtà il giorno degli esami sapevo benissimo che una vita ci sarebbe stata e che quella prova iniziatica mi sarebbe rimasta impressa proprio perché unica: il preludio a un futuro magari non altrettanto memorabile, ma disseminato di sufficienti certezze e reti di protezione. La maturità era il rito con cui si usciva dall’età dell’incoscienza per entrare in quella della ragione. Adesso segna il passaggio dal pianoro delle tutele al bosco del precariato. Dall’età dell’incoscienza all’età dell’ansia.
Ascolto i ragazzi commentare la loro iniziazione come se fosse stata l’ultima e non posso fare a meno di pensare che non sarà così. La società degli X Factor, dove uno su mille ce la fa e gli esclusi restano a inveire sulla tastiera, si basa su provini continui dagli esiti instabili. L’energia prorompente di questi maturandi e futuri laureati rischia di languire dentro un lavoretto malpagato, un contratto di pochi mesi, un praticantato non retribuito. Qualcuno ce la farà: i più intraprendenti e i più ammanicati. Molti scapperanno a cercare altrove la strada di casa. Tutti gli altri andranno a ingrossare le file dell’esercito di chi dice che questo mondo è diventato troppo ingiusto per non essere anche sbagliato.
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