Io mio padre sono arrivato a capirlo. È arrivato dall’Iran e a noi figli ha voluto regalare il sogno americano, lui non aveva mai potuto scegliere. Avevo sette anni quando mi disse che sarei diventato numero uno. Per lui contavano forza e disciplina, non il calore umano, né la fragilità. Ora ci abbracciamo, ma prima evitava ogni contatto fisico. Solo quando mi ha visto a pezzi, all’Us Open del 2006, allora ha odiato anche lui il tennis e ha realizzato quanto fisicamente mi avesse fatto male dare tutto.
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