«Così pensando mi riconciliavo colla scienza, pur troppo talvolta compromessa da tali che del vero scienziato avranno l’intelligenza, ma non il cuore; mi riconciliavo con me stesso, sembrandomi che avrei potuto anch’io far qualche cosa di buono, e mi sentivo diventar migliore; più umile nella coscienza del mio nulla, più docile nella contemplazione dell’ordine a cui è soggetta ogni creatura, più confidente nella cognizione della divina bontà, più grato nel riconoscimento di quella providenza amorosa di cui la storia del globo è una splendida rivelazione, più desideroso d’esser perfetto come è perfetto il Padre che è ne’ cieli, più amante degli uomini nel riflesso del posto sublime che occupano nella gerarchia del creato e dei loro eterni destini. E via di speculazione in speculazione, mi pareva che l’unità di Dio fosse così bene espressa nel coordinamento perfetto di tutti gli esseri creati nel tempo e nello spazio, e di tutte le forme che li muovono in un armoniosissimo tutto; che gli attributi delle Persone suonassero chiari in quella triplice nota di potenza, di sapienza, d’amore, che è la favella dell’universo: mi pareva insomma che al mondo non ci fosse più bisogno d’altro libro, che del libro della natura. Oh! Lo studio della natura!… Potessi innamorarvene!»
«Tu ce ne hai innamorati», sclamò Giannina con entusiasmo.
«Fosse vero!» risposi. «Allora non avrei che da augurarvi la serenità della mente e l’innocenza del cuore, perché anche la parola della natura è buon seme che può essere mangiato sull’aperta via dagli uccelli, inaridire tra i sassi, morir sotto le spine… Ma addio! A ben rivederci a S. Martino!»[Serata XXIX, La valle del Bove, Il linguaggio della natura]
[Explicit]
Cit.
Il Bel Paese