La storia ha voluto che, dopo lunghi e pazienti contatti informali, che si intensificarono dopo la caduta del Muro di Berlino del ’89, la maggior parte dei rapporti diplomatici si perfezionasse proprio nel 1992. In quel nuovo clima di libertà – per il quale l’Europa poteva tornare a respirare «a due polmoni», per usare una metafora cara a Giovanni Paolo II – la Santa Sede colse l’occasione per portare il suo contributo allo sviluppo dei popoli che si aprivano a una nuova fase politica e per assicurare la libertà religiosa. Ciò obbedì da una parte al desiderio dei nuovi governi di allacciare contatti regolari con la Chiesa di Roma, di cui riconoscevano il grande contributo alla libertà dei loro popoli; d’altra parte corrispondeva al desiderio della Santa Sede di contribuire al rinnovamento spirituale di questi popoli. Così, nel decisivo quadriennio 1989-1992, la Santa Sede ha potuto stringere rapporti diplomatici con ben 28 nuovi Stati: 6 dell’Europa Orientale, 12 sorti dalla dissoluzione dell’ex Unione Sovietica (7 in Europa e 5 in Asia Centrale) e i 3 Stati baltici. Inoltre, tra i nuovi Paesi in cui la Santa Sede ha potuto iniziare la sua presenza, ben 7 erano dell’area balcanica (i 6 dell’antica Federazione Jugoslava più l’Albania, che nel 1992 aprì la sua ambasciata a Roma). Con tale nuova presenza, la Santa Sede ha oggi regolari rapporti diplomatici con tutti i 47 Stati membri del Consiglio d’Europa, di cui fanno parte anche la Turchia e il Kazakistan, in quanto una parte del loro territorio è nel continente europeo.
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