Incipit di “Il candelabro sepolto”, di Stefan Zweig Nel Circo Massimo di Roma stava volgendo al ter…

Nel Circo Massimo di Roma stava volgendo al termine la sanguinosa lotta di due giganteschi Eruli contro una muta di cinghiali ircani, quando verso la terza ora del pomeriggio una crescente irrequietezza cominciò a diffondersi tra le migliaia di spettatori. Dapprima soltanto i più vicini s’erano accorti che nella tribuna appartata, riccamente adorna di tappeti e di statue, dove l’imperatore Massimo sedeva in mezzo alla sua corte, era entrato un messaggero coperto di polvere, reduce visibilmente da una affannosa cavalcata; e l’imperatore, appena ascoltato il messaggio, contrariamente all’uso, s’era alzato nel bel mezzo dell’emozionante gioco; con uguale fretta inusitata l’intera corte lo aveva seguito, e presto si vuotarono anche i seggi dei senatori e degli alti dignitari. Una ritirata così precipitosa non poteva non avere un motivo eccezionale. Invano squillanti fanfare annunciarono una nuova lotta, e un leone numidico dalla bruna criniera e il cupo ruggito fu lanciato incontro ai brevi coltelli dei gladiatori — la cupa ondata dell’inquietudine, orlata dalla spuma di volti atterriti e interroganti, s’era alzata irresistibile e si propagava per i ranghi dell’anfiteatro. Gli spettatori balzavano in piedi, s’indicavano l’un l’altro i posti vuoti degli alti dignitari, chiedevano, rumoreggiavano, gridavano e fischiavano; a un tratto, e non si seppe chi per primo l’avesse lanciata, si divulgò la voce confusa che i vandali, i temuti pirati del Mediterraneo, fossero approdati alle foci del Tevere con una flotta potente e fossero già in marcia contro la città ignara.

Incipit

Il candelabro sepolto

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