Gramellini, su Cristiano Ronaldo e sulla sua evasione fiscale 2017 Chissà quante volte, riemergendo da una coda al…

Chissà quante volte, riemergendo da una coda alle poste estenuante come la ritirata sul Piave o da una discussione con un funzionario che vi rimbalza addosso ogni problema, vi sarà capitato di pensare: se appartenessi alla tribù dei famosi, mi si tratterebbe con ben altro riguardo. Consolatevi: i famosi la pensano esattamente come voi, ma al rovescio. Lungi dal sentirsi destinatari di un privilegio, sono convinti di essere vittime di una persecuzione. «Se non mi chiamassi Cristiano Ronaldo, oggi non mi troverei qui», ha frignato il calciatore più bravo e diversamente simpatico d’Europa davanti alla magistrata spagnola che sta perlustrando i suoi conti per cercare le prove di un’evasione fiscale da quindici milioni di euro. La togata gli ha risposto senza scomporsi che prima di lui, su quella stessa sedia, si erano seduti tanti anonimi. Si riferiva all’esercito sterminato di sospetti evasori che non hanno mai segnato una doppietta alla Juve in una finale di Champions League. Eppure a Cristiano Ronaldo nulla toglierà dalla testa di essere stato preso di mira dal fisco a causa della sua fama di goleador. Su una cosa i vip con la barca e i proletari ai remi concordano: il sistema ce l’ha esclusivamente con loro. In fondo anche la persecuzione è una forma di considerazione. Da Cristiano Ronaldo a Mariano Ribaldo, ci si illude un po’ tutti che il mondo sia talmente interessato ai fatti nostri da dedicare le sue migliori energie a metterci i bastoni tra le ruote. Finché un giorno si scopre che di noi il mondo se ne infischia e si diventa cinici. O saggi.

[Il Caffè di Gramellini, Corriere.it, “Lei sa chi sono io”, 1 agosto 2017]

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