Charlie Gard non c’è più. Qualcuno dice che non c’è mai stato — la sua rarissima malattia impediva alle cellule di svilupparsi — eppure ha pesato sul dibattito pubblico più di tante esistenze compiute. Ha permesso alla platea del mondo di conoscere Connie e Chris, i suoi genitori, trasformati dalle circostanze in simboli di rivolta, mentre erano solo una madre e un padre che avrebbero dato la vita per il proprio figlio ritenuto inguaribile dalla medicina e dalla giustizia. Eppure, dopo una resistenza trascinata ai limiti della disobbedienza civile, hanno accettato di arrendersi alla sua fine con la mansuetudine dei forti, senza cercare altro conforto che le lacrime. La breve vita di Charlie Gard ha servito scopi importanti. È stata l’esca del conflitto molto moderno tra l’autorità della scienza e quella della coscienza, incarnata da due genitori che rivendicavano il diritto di prendere decisioni su loro figlio in contrasto con quelle assunte dallo Stato. Ma ciò di cui saremo eternamente grati al bambino impalpabile è che ci ha obbligati a riflettere sulla potenza della vita e della morte. Un rovello rimosso di continuo, eppure inestinguibile perché legato alla condizione umana. Ora che Charlie è tornato nell’altrove da dove forse non era mai completamente uscito, il frastuono della polemica lascia il posto a un silenzio che ciascuno deve fronteggiare da sé. Charlie Gard non c’è più. Ma di sicuro non è passato invano.
[Sulla morte di Charlie Gard, “Charlie”, Il Caffè di Gramellini, Corriere.it, 29 luglio 2017]
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