Per essere ammessi al club dei Rispettabili bisogna ribadire a ogni piè sospinto che Trump è il nemico numero uno dell’umanità. Macron può prendere in giro gli operai in sciopero e rimane uno statista illuminato. Trump invece è responsabile di ogni sciagura, comprese quelle minacciate dagli altri. L’ultimo ad attaccarlo è stato Eminem, il leggendario rapper che abita da vent’anni sotto il cappuccio di una felpa. Gli ha dedicato una canzone dove l’epiteto più gentile è «kamikaze nucleare». Come se a minacciare sfracelli atomici fosse stato Trump e non il dittatore nordcoreano. Ma sul feroce comunista asiatico nessuno spende una parolina o una parolaccia. Forse perché è comunista. O forse perché è asiatico, e in Occidente vige la regola che si può parlare male solo di chi sta con i cowboy. Trump è un marchio d’infamia e insultarlo equivale a un paternoster che monda da ogni peccato. Al suo ministro degli Esteri, considerato fin qui un infiltrato dei russi, è bastato dargli dell’imbecille per trasformarsi in statista. E possiamo immaginare che cosa si sarebbe detto e scritto se Harvey Weinstein, il produttore hollywoodiano che saltava addosso a qualsiasi scollatura, fosse stato amico e finanziatore del gel di carota della Casa Bianca, anziché di Obama. Intendiamoci. Trump è un truce affarista che frega il prossimo suo da quand’è nato, e senza neanche il tratto umano di Berlusconi. Non è per questo che dà fastidio, ma perché ha saputo parlare agli impoveriti. Quelli che il club dei Rispettabili ha smesso di ascoltare da tempo.
Cit.
Trump che abbaia, ‘Il caffè’, Corriere.it, 12 ottobre 2017