L’accento è un importante indicatore dell’atteggiamento di una persona, poiché non dipende soltanto dall’educazione ricevuta e dall’ambiente. L’ego ha il suo centro nel midollo allungato, alla base del cervello. La tensione in quel punto tende a tirare la testa all’indietro, facendo si che la persona guardi il mondo “con il naso all’insù” e quindi parli con un lieve accento nasale. Una forza di volontà aggressiva farà sì che le parole escano con forza: l’enfasi, quindi, sarà sulle consonanti. L’espressione delle emozioni più delicate tende ad addolcire le consonanti e a sottolineare le vocali. Suoni come il e ò, sebbene comuni in molte lingue, suggeriscono anche, nella chiusura delle labbra, un atteggiamento di lieve riluttanza. Le consonanti in cui la h è pronunciata insieme alla b, alla p, alla t e alla k (come nel caso della parola bengali bhalo[buono]) sono pronunciate in modo simile in tutte le lingue, quando i sentimenti vengono espressi con enfasi. La a americana è un suono dolce e doppio, come nella parola man (pronunciata ma-ahn, con la seconda sillaba quasi inudibile); ha un suono più dolce della stessa parola pronunciata con l’accento britannico. La r in parole come better suona più calda e accogliente nell’inglese americano che nella pronuncia britannica, bettah. D’altro canto, la doppia t americana suona meno chiara e precisa di quella inglese: bedder in americano, bettah in inglese.
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