L’acqua delle fontane con murmure liturgico
si piega in ginocchio sul limite marmoreo;
l’obelisco brilla con la luna in cima,
nell’azzurro claustrale, come un ostensorio.Serena notte, taciturnamente una stella
salutò Iddio nel firmamento:
vana la sua, vana la mia parabola.Tre giorni di digiuno,
sgranati lungo i muri umidi e vischiosi,
godendo il lezzo rancido
di grasse cucine casalinghe,
sul trivio, cercando anche nel ladro
un viso di fanciullo triste e buono!Quando il sangue risponde, ch’era sordo,
e s’ha bisogno di spartire il pianto
con un cuore ch’è vicino al nostro,
ancora si può avere della gioia,
anzi se più pestati e più sepolti.Ma a tutti i crocicchi, il teschio della beffa,
pronto, sagace, il motteggiar di Circe
non destra alla spola e alla conocchia,
sganasciò nel verbo attossicato.Pescatore d’uomini, sono tutto solo;
per te mi chino sotto il porticato
e piango la mia terra e la mia casa:
tormenta di cenere che svampa.
Titolo della poesia
Piazza San Pietro