Incipit di “Lorso polare”, di Henrik Pontoppidan Immagina, caro lettore, un faccione di color ro…

Immagina, caro lettore, un faccione di color rosso acceso, donde penda una candida barba arruffata, tra i cui grossi peli si nascondano residui di una minestra di cavoli, briciole di pane, o di tabacco color cannella. Aggiungivi l’imponenza di una gran fronte rugosa e d’una chiara calvizie cinta sulla nuca da una corona di bianchi capelli ricciuti che scendono sul colletto della giubba, un paio d’orecchie piccole, molli e carnose, due soffici e lanose sopracciglia, e un imponente naso violaceo che sporge tra due grandi e chiari occhi azzurrini dall’attonito sguardo. Ravviva questo volto con una mimica incessante e quasi inconscia, un frequente sorriso che accompagna i pensieri, il lieto ammiccare d’un occhio e un improvviso e ingiustificato alzarsi e abbassarsi delle folte sopracciglia accompagnato da simultanei movimenti delle braccia e delle spalle, e ti sarai fatta un’approssimativa idea dell’uomo che è il terrore del distretto di Uggelejre, lo sgomento di tutto il clero, l’oggetto dell’indignazione dei maestri di scuola e la disperazione del vescovo evangelico: del parroco protestante di Soby, Thorkild Asger Ejnar Frederick Muller.

Incipit

Lorso polare

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